Il triangolo della morte rossa

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La locuzione Triangolo della morte (o Triangolo rosso), di origine giornalistica, indica un’area del nord Italia ove alla fine della seconda guerra mondiale, tra il settembre del 1943 e il 1949, si registrò un numero particolarmente elevato di uccisioni a sfondo politico, attribuite a partigiani e a militanti di formazioni di matrice comunista.

Alcuni autori indicano in circa 4.500 i morti causati dalla ‘giustizia partigiana’ scatenatasi alla fine della seconda guerra mondiale nel Triangolo della morte.

Secondo il giornalista Francesco Malgeri, l’espressione era originariamente riferita al triangolo di territorio compreso tra Castelfranco Emilia, Mirandola e Carpi, mentre il giornalista Giampaolo Pansa indica la zona del modenese, corrispondente al triangolo compreso fra Castelfranco Emilia e due sue frazioni, Piumazzo e Manzolino. In seguito, l’espressione è stata ripresa per indicare aree di volta in volta più ampie sia dentro che fuori dall’Emilia, ad esempio il triangolo Bologna-Reggio Emilia-Ferrara.

Lo storico Giovanni Fantozzi sostiene che nel dopoguerra, dall’aprile del 1945 alla fine del 1946, nella provincia di Modena gli omicidi politici furono diverse centinaia, probabilmente oltre il migliaio, stando alle stime dell’allora prefetto di Modena Giovanni Battista Laura, del resto non molto dissimili da quelle dei Carabinieri. Sempre secondo Fantozzi i responsabili di tali delitti politici nel modenese furono, nella stragrande maggioranza dei casi, ex partigiani iscritti o simpatizzanti del Partito Comunista Italiano (PCI), ma solo una piccola parte tra le loro vittime era realmente fascista (quelle uccise cioè nell’immediato dopoguerra), mentre gli altri, la maggioranza, furono eliminati in quanto considerati “nemici di classe” o semplicemente un ostacolo ad un’auspicata rivoluzione comunista.

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Il particolare clima emiliano

La situazione politica emiliana nel periodo immediatamente precedente e successivo alla liberazione fu particolarmente violenta. Alla primitiva contrapposizione fra fascisti e antifascisti si aggiunse una forte istanza di trasformazione dei rapporti sociali tra detentori della proprietà fondiaria e i contadini, per lo più legati a contratti di mezzadria.

Un particolare aspetto fu rappresentato dalla figura dei sacerdoti della Chiesa Cattolica che vede insieme esperienze come quella di don Zeno Saltini, che voleva una chiesa schierata con le istanze della sinistra, ma anche una visione più conservatrice che portò alcuni sacerdoti ad essere uccisi.

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Alcune delle vittime in ordine cronologico.

I fratelli Govoni (Dino, Emo, Augusto, Ida, Marino, Giuseppe, Primo), dei quali due soltanto, Dino e Marino, avevano aderito alla Repubblica Sociale, vittime dei partigiani;

13 aprile 1945: Rolando Rivi, seminarista di 14 anni, barbaramente torturato e ucciso in una sommaria esecuzione da Giuseppe Corghi e da Delciso Rioli, partigiani della Brigata Garibaldi, appartenenti al battaglione Frittelli della divisione Modena Montagna (Armando) comandata da Mario Ricci (i due furono poi condannati – in tutti e tre i gradi di giustizia – per omicidio a 22 anni di carcere, ma in realtà ne scontarono solo 6 grazie all’Amnistia Togliatti).

8 maggio 1945: i partigiani garibaldini della brigata “Paolo” Dino Cipollani e Guido Belletti prelevarono la professoressa Laura Emiliani e la portarono nella sede del CLN dove fu presa in consegna dalla polizia partigiana comandata da Luigi Borghi. Il giorno seguente Vittorio Caffeo, che era stato il commissario politico della brigata partigiana, sequestrò il vecchio podestà di San Pietro in Casale Sisto Costa con la moglie Adelaide e il figlio Vincenzo; a questi si aggiunsero nove cittadini di Cento: Enrico Cavallini, Giuseppe Alborghetti, Dino Bonazzi, Guido Tartati, Ferdinando Melloni, Otello Moroni, Vanes Maccaferri, Augusto Zoccarato e Alfonso Cevolani.

Guido Cevolani, fratello di uno dei sequestrati di Cento, resosi conto della situazione, inseguì i partigiani e – scoperto il luogo in cui erano stati posti in detenzione – dopo un drammatico colloquio ottenne la liberazione del fratello.

Cevolani durante il confronto riuscì ad intravedere uno dei prigionieri con il volto completamente coperto di sangue. Il 9 maggio 1945 i prigionieri furono sottoposti al giudizio di un tribunale partigiano e sommariamente condannati a morte. Privati degli effetti personali, che furono spartiti tra i partigiani, furono tutti strangolati.

Guido Cevolani fu poi determinante nel far individuare alle forze dell’ordine gli autori della strage.

La strage viene ricordata come  primo Eccidio di Argelato

10 maggio 1945: dottor Carlo Testa, membro del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) per la Democrazia Cristiana, assassinato a Bomporto (Modena) con raffiche di mitra;

11 maggio 1945:

  • Giacomo Malaguti, sottotenente di artiglieria del Corpo Italiano di Liberazione, col quale aveva combattuto contro i tedeschi a Cassino rimanendo ferito, e aveva fatto la campagna in una unità aggregata all’esercito inglese, in licenza presso la famiglia, assassinato nel secondo Eccidio di Argelato.
  • I fratelli Govoni (Dino, Emo, Augusto, Ida, Marino, Giuseppe, Primo), dei quali due soltanto, Dino e Marino, avevano aderito alla Repubblica Sociale, vittime dei partigiani;

18 maggio 1945: Confucio Giacobazzi, agricoltore e partigiano non comunista, assassinato;

2 giugno 1945: Ettore Rizzi, partigiano simpatizzante democristiano, sequestrato e ucciso a Nonantola;

27 luglio 1945, Bruno Lazzari, impiegato democristiano di Nonantola, colpito da raffiche di mitra;

26 gennaio 1946, Giorgio Morelli, partigiano e giornalista cattolico, vittima di un agguato dopo la pubblicazione di un’inchiesta in cui accusava il presidente comunista dell’ANPI di Reggio Emilia della morte di un altro partigiano cattolico, Mario Simonazzi. Morelli morì a seguito delle ferite il 9 agosto 1947;

19 maggio 1946, Umberto Montanari, medico condotto a Piumazzo ed ex-partigiano cattolico, assassinato;

20 agosto 1946, Ferdinando Mirotti, capitano del Corpo italiano di Liberazione, assassinato sull’uscio di casa;

24 agosto 1946, Ferdinando Ferioli, avvocato, assassinato in casa da persone conosciute, gli assassini furono aiutati dalla loro organizzazione a riparare in Cecoslovacchia;

26 agosto 1946, Umberto Farri, sindaco socialista di Casalgrande, assassinato in casa da due uomini. Il caso non ha mai avuto una soluzione;

17 novembre 1948, Angelo Casolari e Anna Ducati, membri del consiglio parrocchiale, assassinati nella canonica della parrocchia di Freto, a Modena.

Esiti giudiziari

Le indagini nei primi tempi languirono: l’uccisione di religiosi e laici, esponenti di partiti aderenti alla Resistenza ma su posizioni moderate, ebbe un consistente influsso nei rapporti tra i partiti che collaboravano nel governo espresso dal CLN. Con l’uscita dei comunisti dal governo De Gasperi ebbe un atteggiamento più fermo: furono inviati rinforzi di polizia, le indagini furono riprese e vari responsabili delle uccisioni furono individuati, anche se non mancarono clamorosi errori giudiziari come nel caso di Germano Nicolini ed Egidio Baraldi, condannati per gli assassini don Pessina e Mirotti, e riabilitati soltanto alla fine degli anni novanta.

Conseguenze politiche

Nel 1947 la collaborazione tra i partiti aderenti al CLN non resse alla prova del dopoguerra. I mutati equilibri internazionali, con la rottura fra potenze occidentali e URSS provocò anche in Italia la fine dei governi di unità nazionale e l’uscita dei comunisti dal governo.

Antonio Pallante, autore dell’attentato a Palmiro Togliatti del 14 luglio 1948, tra le motivazioni addusse il fatto di considerare il segretario del PCI come «mandante delle stragi di fascisti» e di «italiani al Nord», oltre che pericoloso per l’Italia.

Oscuramento delle notizie

Nella primavera del 1990 alcuni parenti delle vittime scrissero una lettera aperta, chiedendo almeno di sapere dove fossero stati sepolti i loro familiari per poterli umanamente seppellire.

Alcuni mesi dopo, il 29 agosto il dirigente del PCI ex-partigiano ed ex-deputato Otello Montanari rispose con un articolo sul Resto del Carlino nel quale sostenne che bisognava distinguere tra “omicidi politici”, ovvero commessi in ragione del ruolo esercitato dalla persona uccisa, ed “esecuzioni sommarie”, ovvero uccisioni indiscriminate di avversari politici e oppositori, e invitò chiunque sapesse come ritrovare le spoglie delle persone uccise a dare le necessarie informazioni. Per questo ebbe gravi difficoltà all’interno del partito, dove venne aspramente contestato, e venne inoltre escluso dal Comitato Provinciale dell’ANPI, dalla Presidenza dell’Istituto Cervi e dalla Commissione regionale di controllo. L’invito ebbe in risposta una croce piantata nel comune di Campagnola Emilia, dove furono trovati i resti di alcune persone trucidate, vittime della guerra interna al CLN.

Il clima

Tribunale del Popolo nel processo a Tullio Santi il 30 Aprile 1945
Tullio Santi prima della fucilazione.
Santi e Maffei di spalle prima della fucilazione. Il clima d’odio è ben visibile nell’immagine sacra posta come bersaglio

 

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